La domanda di beni di alta gamma appare solida nel lungo periodo trainata dalla nuova classe media asiatica e dal marketing veicolato dal web. Sotto i riflettori la cosmesi
Sostenuto da una ricchezza che segue un’eclittica inversa da occidente verso oriente, da una classe media asiatica molto orientata ai consumi e trovandosi per il momento al riparo dalla guerra commerciale, il settore del lusso presenta prospettive interessanti di lungo periodo, nonostante le proteste di Hong Kong – che incide per una quota del 2-3% su fatturato del settore – abbiano raffreddato un po’ gli entusiasmi nelle ultime settimane.


Il consumo di beni di lusso continuerà a essere forte nei decenni a venire grazie a tre megatrend: la crescita dei consumi da parte della classe media dei mercati emergenti, l’urbanizzazione, e il crescente desiderio di beni esclusivi (Zehrid Osmani, Martin Currie)
“Crediamo che il consumo di beni di lusso continuerà a essere forte nei decenni a venire grazie a tre megatrend: la crescita dei consumi da parte della classe media dei mercati emergenti, l’urbanizzazione, e il crescente desiderio di beni esclusivi da parte dei consumatori in generale”, dice Zehrid Osmani, head of global long-term unconstrained di Martin Currie (affiliata Legg Mason).
Che aggiunge: “Il settore beneficerà della forza dei grandi brand che, rimanendo altamente innovativi e creativi, avranno la possibilità di allargare l’architettura dei prezzi dei propri prodotti in tutti i settori”.
Il perimetro del settore. Stiamo parlando di un settore le cui vendite hanno generato un fatturato nei primi cento gruppi di 247 miliardi di dollari nel 2017 (+13.8% rispetto all’anno precedente), con le prime dieci aziende che esprimono il 48% del volume d’affari complessivo.
Con 265 deal registrati nel 2018, ben 47 in più rispetto al 2017, il settore del Fashion & Luxury conferma di essere un terreno incredibilmente fertile per l’attività di M&A e di continuare a crescere nonostante il rallentamento delle principali economie, Cina inclusa.
L’industria del lusso infatti è sostenuta da una domanda a lungo termine incredibilmente solida. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, dal 1996 al 2018 il tasso di crescita annuale composto per il mercato globale dei beni di lusso personali è risultato pari al 6%, superando la crescita del Pil dell’area euro e degli Stati Uniti, rispettivamente del 2,5% e del 4,1%.
Come spiega Andrea Cattapan, cfa di Consultique, il settore negli ultimi dieci anni ha espresso tre punti di performance di più all’anno sull’azionario globale: “Un risultato conseguito grazie alla spinta dei mercati emergenti, ma soprattutto perché la maggior parte delle aziende ha visto migliorare i propri conti e ampliare i limiti geografici senza perdere le caratteristiche distintive del brand”.


La domanda proveniente da consumatori cinesi ha rappresentato negli ultimi anni oltre la metà della domanda totale (Elio Milantoni, Deloitte)
Previsioni al rialzo. È opinione degli analisti che un’ingente crescita composta possa stimolare elevati rendimenti per gli azionisti, anche se il settore è ciclico e tende ad amplificare i corsi azionari nel bene e nel male come indica il suo “beta” superiore a 1, e in tal senso potrebbe risentire di un rallentamento economico globale.
Le previsioni sono però concordi nell’indicare una crescita complessiva del 6% nel 2019 e nel 2020.
“L’Europa sarà in assoluto l’area più lenta con una crescita del 2-3%”, spiega Stefan-Guenter Bauknecht, head of global equity research di Dws. “Il 70% delle vendite in Europa sono infatti non-domestic, e quindi vittime del rimpatrio delle vendite di lusso nella Cina continentale. Inoltre un renmimbi più debole rispetto all’euro non favorisce le vendite. Infine la domanda domestica nell’Europa occidentale non dovrebbe crescere molto più del Pil, data la fase più matura del mercato”.
L’unico elemento di incertezza per le aziende italiane ed europee del comparto è l’adozione da parte degli Stati Uniti di politiche commerciali restrittive sui prodotti europei. Il mercato americano rappresenta infatti il 20% del fatturato delle aziende quotate del lusso e l’introduzione di dazi andrebbe a impattare i prezzi di vendita.
“Tali dazi non solo riducono il potere d’acquisto dei consumatori, ma generano reazioni simili da parte degli altri Paesi. Ne consegue un aumento dei costi di produzione per le aziende, con possibili impatti negativi sulla loro competitività”, spiega Bauknecht. Secondo lo strategist, a sorpresa, Londra proprio a causa dell’esito incerto della Brexit e della conseguente ulteriore debolezza della sterlina, potrebbe diventare la metropoli europea più attraente per l’acquisto di beni di lusso.


Le previsioni per il settore sono positive anche perché il fashion veicolato dai social raggiunge questa fascia di consumatori molto incline ai consumi (Andrea Carzana, Columbia Threadneedle Investments)
Lusso “social”. Con o senza Hong Kong è la Cina il vero motore di crescita del settore e lo sarà anche in futuro.
“La domanda proveniente da consumatori cinesi ha rappresentato negli ultimi anni oltre la metà della domanda totale e prevediamo che mantenga questo peso anche nel prossimo futuro”, dice Elio Milantoni, partner e head of corporate finance advisory di Deloitte.
“Infatti, a oggi, solo una minima parte della popolazione cinese è raggiunta dai principali brand del lusso, ed è prevedibile un ampliamento di tale porzione”.
In più, grazie all’alta percentuale di teenager cinesi già proprietari di casa, crescerà il potere di acquisto dei cosiddetti millennial, aumentando il già alto potenziale delle future esportazioni nell’area.
“Le previsioni per il settore sono positive anche perché il fashion veicolato dai social raggiunge questa fascia di consumatori molto incline ai consumi”, è il commento di Andrea Carzana, gestore azionario Europa di Columbia Threadneedle Investments.
Come spiega Lauren Carter, analista azionario di Capital Group, le vendite digitali, che oggi rappresentano poco meno del 10% dei ricavi, dovrebbero raggiungere il 25% entro il 2025. Ma, cosa ben più importante, internet inciderebbe sul 70% delle vendite attraverso il marketing e i consigli degli influencer sui social media.
Il lusso come esperienza. Ovviamente la presenza online si sviluppa di pari passo con il tentativo di agganciare una clientela più giovane. Secondo alcune stime, nel giro di cinque anni i millennials costituiranno la metà del mercato del lusso rispetto all’attuale 30 per cento. Ma attenzione: questo target cambierà le modalità di fruizione del lusso e avrà impatti su tutta l’industria.


I consumatori tendono a spostare sempre più il proprio portafoglio dai beni fisici verso esperienze di lusso uniche e differenziate (Swetha Ramachandran, Gam Investments)
“Viviamo in un’era di ubiquità, in cui i beni di lusso classici sono disponibili per chiunque alla portata di un’app, ma il cachet è diminuito”, spiega Swetha Ramachandran, portfolio manager della strategia luxury brands di Gam Investments.
Per questa ragione crescono modelli di consumo quali il noleggio/rivendita al posto dell’acquisto, anche nel settore dell’abbigliamento e accessori.
“I consumatori tendono a spostare sempre più il proprio portafoglio da beni fisici verso esperienze di lusso uniche e differenziate tra le varie fasce di reddito, con categorie quali l’ospitalità di lusso, vini e liquori pregiati, automobili e ristoranti di fascia alta che nell’ultimo decennio sono cresciuti più velocemente dei beni di lusso personali”, aggiunge Ramachandran.
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L’unione fa la forza. Se social e blog sono il moltiplicatore delle vendite, è anche vero che l’informazione digitale aumenta il cosiddetto fashion risk, ovvero la possibilità che qualcosa che è di moda oggi possa non esserlo più domani. Il modello vincente per gli analisti è quindi quello francese, cioè holding che collezionano una serie di marchi affermati e di qualità.
La Francia, sede di alcune delle più grandi società di beni di lusso del mondo come Lvmh, Kering SA e L’Oréal Luxe, ha infatti conseguito la migliore crescita nelle vendite di prodotti di lusso, pari al 18,7% nel 2017, e il peso delle prime sette società francesi rappresenta il 23,5% del totale delle vendite di beni di lusso della Top 100 mondiale. “I titoli di gruppi che riuniscono una collezione di marchi affermati sono interessanti, poiché offrono una diversificazione per gli investitori”, spiega Ramachandran.
“Un’impresa come Kering, proprietaria di Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga e alcuni altri marchi, offre questo vantaggio di diversificazione unita a un potenziale di rialzo della valutazione”, aggiunge. Per quanto riguarda l’Italia, le nostre aziende sono ancora le più numerose della Top 100 (sono 24), ma realizzano solo il 14% dei ricavi totali globali (dati 2017). Luxottica, che si colloca al quinto posto è l’unica azienda italiana presente in Top Ten.
“In futuro la maggiore sfida che saranno chiamate ad affrontare sarà fronteggiare le dinamiche di mercato, coniugando modelli di business innovativi con tradizione ed esclusività del prodotto che da sempre hanno contraddistinto il made in Italy”, dice spiega Patrizia Arienti, Deloitte Emea Fashion & Luxury Leader.
C’è lusso e lusso. Ma su quale categoria di prodotti conviene puntare? Le preferenze degli analisti vanno alle società del soft luxury (pelletteria, abbigliamento, accessori) rispetto ai player del cosiddetto hard luxury (orologeria) a causa del maggiore appeal nei confronti del consumatore asiatico millennial.
La cosmesi premium è un’altra area con forti opportunità di crescita, poiché continua a rafforzarsi l’attuale tendenza per la cura della pelle con L’Oreal e Estee Lauder ben orientati per trarre vantaggio da questo tema.
Proprio Estée Lauder, insieme a Shiseido, Treasury Wine Estates, Pernod Ricard e Brunello Cucinelli, sono considerate le società favorite perché, come spiega Caroline Reyl, gestore del fondo Pictet-Premium Brands di Pictet Am, “hanno pubblicato solidi bilanci trimestrali, hanno superato le attese e rivisto in positivo o confermato la guidance per l’intero esercizio”.
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Per contro, spiega ancora Reyl, i dati di società come Ferrari, Marriott, Accor e Tiffany si sono rivelati eterogenei. Sul fronte negativo infine Farfetch, che ha riportato risultati deludenti a causa di una flessione del fatturato negli Usa e una crescente concorrenza nel segmento degli articoli di lusso online che ha allarmato gli investitori.
Un altro titolo amato dagli analisti è Moncler che, nonostante sia un’azienda monomarca, presenta un forte potenziale di crescita, mentre Ferrari è l’azienda che in assoluto potrà beneficiare dei trend del mercato dei beni di lusso di lungo termine.
Quanto ai fondi specializzati, la scelta non è affatto ampia: sono quattro (Gam Luxury Brands, LO Global Prestige, Diversified Growth Company – Franck Muller Luxury, NN Luxury Consumer Goods) quelli specializzati nel lusso tout court, e altri quattro quelli che puntano sul concetto di Premium Brands.
A questi si aggiunge il fondo multi asset (a cedola) Anima Patrimonio Globale Lusso&Moda 2024. I costi di gestione (che si aggirano sui 1,5-2%) scendono a circa lo 0,25% per gli Etf specifici, come Amundi IS S&P Global Luxury Etf e i vari Consumer Discretionary (Sdpr, Invesco, Lyxor, Dws, iShares) che investono su varie aree geografiche (Globale, Usa, Europa ed Emergenti).
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*articolo pubblicato su Investire di ottobre