La tiepida reazione dei gestori al nuovo intervento della Fed

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Il taglio deciso ieri dalla Federal Reserve dello 0,5% ai tassi riscuote pareri tiepidi e spesso critici da parte dai gestori finanziari che ne riconoscono la necessità ma ne sottolineano l’insufficienza

Il taglio deciso ieri dalla Federal Reserve dello 0,5% ai tassi di interesse (con un nuovo intervallo target di 1,00-1,25%) per mettere al sicuro i mercati dall’epidemia di Coronavirus, riscuote pareri abbastanza tiepidi e spesso critici da parte dai gestori finanziari.

L’intervento monetario statunitense è, di fatto, l’unico annuncio concreto arrivato a margine della riunione di ieri tra i ministri delle Finanze del G7 e dei governatori delle banche centrali

L’entità del taglio di oggi ricorda quella del settembre 2008, all’indomani del crollo di Lehman Brothers e dell’inizio di una crisi del ciclo del credito che investì l’intero globo. Ma le differenze non mancano, soprattutto in merito alla tempestività e al livello di condivisione del provvedimento tra Fed e le altre banche centrali. 

L’iniziativa di Jerome Powell viene comunque apprezzata quale tentativo di reagire davanti ad un fenomeno sanitario di cui non si conosco ancora le reali potenzialità. In particolare negli Usa, dove la diffusione della malattia è appena iniziata. 

Inoltre, l’intervento monetario statunitense è, di fatto, l’unico annuncio concreto arrivato a margine della riunione (in streaming, come sempre più spesso capita di questi tempi) dei ministri delle Finanze del G7 e dei governatori delle banche centrali. Nulla di certo sul fronte della politica fiscale da parte del resto dei paesi aderenti al club. Una vittoria di Pirro che ha deluso le borse asiatiche, ieri in chiusura positiva proprio in prospettiva di una linea comune da parte delle maggiori potenze economiche.

La delusione si legge anche nella reazione dei mercati azionari del Vecchio Continente, dai quali ci si aspettava un rally, che non è arrivato. Lo Stoxx Europe 600 si è arenato, quindi, al +1,37% di ieri, lasciando sul terreno ben 10,63 punti percentuali persi nell’arco dell’ultima settimana. Ma l’intervento monetario a gamba tesa di Powell non ha convinto neanche Wall Street che, dopo un iniziale +4%, ha chiuso la giornata in perdita di tre punti. 

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Christian Scherrmann, economista statunitense di Dws, si dice “sorpreso”, dal provvedimento della Fed. “Mentre consideravamo plausibile un taglio nella riunione ordinaria di marzo, anche fino a 50bps, l’azione di oggi ci lascia con alcune preoccupazioni”. La prima di queste preoccupazioni riguarda il livello di fiducia che i mercati hanno nell’indipendenza della Fed, “dato che alcuni operatori e il presidente Trump, hanno spinto molto in questa direzione”.

Le indagini sulle aziende segnalano un rallentamento dell’attività dovuto alla domanda cinese più debole e alle problematiche della catena di approvvigionamento (Keith Wade, Schroders)

Altro rischio che l’economista vede è il caso in cui “la Fed iniziasse a vendere più rischi dei mercati, aggiungendo sostanzialmente carburante all’incertezza prevalente”.

“Nonostante il fatto che la politica monetaria non sia in grado di riparare le catene di approvvigionamento, di curare qualsiasi malattia o di far andare la gente a bere vino e a cenare due volte in una sola serata per compensare l’attività precedentemente persa nel settore dei servizi”, aggiunge Wade, “il taglio dei tassi aiuta in termini di finanziamento dei consumatori e delle imprese”.

James McCann, senior global economist di Aberdeen Standard Investments si mostra più comprensivo. “Chiaramente la Fed è allarmata dai rischi posti direttamente dal coronavirus, ma anche indirettamente dal panico che ha preso piede sui mercati finanziari la scorsa settimana. Se lasciata senza controllo questa esplosione di stress finanziario avrebbe potuto minacciare il ciclo. Questo passo dovrebbe fornire un po’ di sostegno ai mercati, stimolare i mutuatari e contribuire a sostenere la fiducia”.

Anche se McCann chiarisce: “Tuttavia, questa non è una panacea. Tagliare i tassi in una situazione come quella attuale è uno strumento piuttosto brusco e sarebbe davvero auspicabile che si combinasse con l’intervento dei governi. Agendo ora, la Fed rischia di dare ai governi tutte le scuse di cui hanno bisogno per restare con le mani in mano”.

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Per Bill Papadakis, macro strategist di Banque Lombard Odier “il brusco inasprimento delle condizioni finanziarie derivante dalla reazione del mercato al recente flusso di notizie relative al Coronavirus stava facendo pressione sulla Fed affinché prendesse misure di allentamento, e la decisione di oggi è chiaramente una mossa in quella direzione. Consideriamo tale risposta politica come un fattore chiave nel ridurre la possibilità che lo shock del coronavirus generi dinamiche recessive nell’economia mondiale”.

Schroders si concentra invece ugli effetti del contagio sull’andamento delle performance aziendali, tra le prime vittime del fenomeno. “Le indagini sulle aziende segnalano certamente un rallentamento dell’attività dovuto alla domanda più debole da parte della Cina e alle problematiche legate alla catena di approvvigionamento”, commenta il suo chief economist and strategist, Keith Wade, “anche se non si è verificato un collasso nell’attività statunitense. Allo stesso tempo, il numero dei casi (negli Usa, ndr.) resta basso”. Wade non esclude un peggioramento della situazione “e ci aspettiamo che l’attività risulti stagnante nel primo trimestre”.

Le banche centrali dovrebbero astenersi dal prendere l’iniziativa. Un simile atteggiamento potrebbe infondere ulteriore paura e instabilità ai mercati finanziari (Peter De Coensel, Dpam)

Il taglio di mezzo punto deciso dalla banca centrale americana ha sorpreso i mercati “sia per l’entità del taglio (i mercati scontavano un taglio di 25bp al Fomc del 18 marzo per un totale di 3 tagli entro luglio) sia per il timing”, scrive Laura Pozzini del team macro research di Eurizon. Infatti, se è vero che un provvedimento tanto incisivo non si vedeva dal 2008, è anche vero che in quell’occasione la mossa fu concordata da Powell con i governatori delle altre banche centrali. Concertazione che, questa volta, non c’è stata.

“Si tratta di un cambio di rotta significativo, dettato dalla diffusione del virus negli Usa”, continua Pozzini, “visto che solo la scorsa settimana anche i membri più dovish non accennavano a tagli dei tassi in tempi breve. Eurizon valuta positivamente la decisione statunitense. “Si tratta di un sostegno importante a famiglie e imprese, che nei prossimi mesi potrebbero risentire degli effetti della diffusione del virus (con shock sia da domanda sia da offerta)”.

La ricercatrice non esclude ulteriori interventi, “in termini di tagli dei tassi o di nuovi strumenti (possibili iniezioni di liquidità, apertura di linee di credito in caso di aziende in difficoltà per blocco produttivo e congelamento della domanda)”.

Non esclude altri provvedimenti neanche Thomas Lehr, capital market strategist di Flossbach von Storch. “A differenza di altre banche centrali, come la Bce, la Fed ha più armi a disposizione. In vista dell’epidemia, ora le sta usando. A breve termine, quindi, è probabile che ciò possa ulteriormente sconvolgere i mercati”. 

Lehr si domanda quale sarà l’impatto dell’ulteriore calo dei tassi d’interesse Usa sul comportamento degli investitori americani a lungo termine. “Si consideri che i rendimenti degli utili aziendali sono attualmente superiori di circa il 4-5% rispetto al rendimento di un portafoglio obbligazionario accettabile. Non saremmo quindi sorpresi se aumentasse anche la disponibilità degli investitori americani ad accettare valutazioni più elevate sul mercato azionario”.

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Il taglio ai tassi americani “è una mossa opportuna” per Andrew Mulliner, global bonds portfolio manager di Janus Henderson Investors, “data la debole capacità della banca centrale americana di combattere la crescente minaccia del Coronavirus per l’economia statunitense e globale. Il fatto che oggi assistiamo a una risposta simile da parte della Fed, può essere sia festeggiato – meglio agire con coraggio che timidamente in tempi così incerti –  sia temuto, portando a chiederci quanto sia davvero grave questa situazione”.

La realtà rischia di evolvere più velocemente di quanto possano fare banche centrali e mercato. “Con la notizia di una scuola chiusa a New York questo pomeriggio, siamo ben lungi dal poter dare il segnale di cessato allarme per l’attività economica”, dice Andrew Mulliner. “La realtà è che a uno shock dell’offerta (dovuto all’interruzione di catene di rifornimento collegate con la Cina) potrebbe ora corrispondere uno shock della domanda (cancellazione di eventi, viaggi; riduzione dei livelli di consumo in generale). In uno scenario di questo tipo, il taglio dei tassi indubbiamente non recherà alcun danno, ma non sarà certamente sufficiente ad evitare gravi perturbazioni economiche”.

“Per parafrasare Winston Churchill, probabilmente questo non è l’inizio della fine per questo evento globale, ma potrebbe essere la fine dell’inizio, dato che le autorità monetarie e fiscali cominciano ad accelerare la loro risposta al crescente shock”, conclude il manager di Janus Henderson. 

Tra le voci più critiche c’è quella di Dpam. Il suo cio fixed income, Peter De Coensel, non usa mezzi termini: “Riteniamo che le banche centrali dovrebbero astenersi dal prendere l’iniziativa – evitando ad esempio una Fed che tagli 4 volte i tassi di interesse – in quanto un simile atteggiamento potrebbe infondere ulteriore paura e instabilità ai mercati finanziari”.

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