Il secondo Forum di Nedcommunity si è focalizzato sulla figura del consigliere in un momento di grande cambiamento, anche normativo. Il punto di vista degli esperti
La corporate governance è sottoposta a un profondo cambiamento perché il mondo si sta trasformando a una velocità mai registrata prima. In un contesto in così rapida evoluzione rimane un punto fermo: la centralità dell’importanza della figura del consigliere indipendente, in grado di rendere i cda coesi e pronti ad affrontare le nuove sfide e a gestire i rischi connessi. Un ruolo che va approfondito, come ha detto il presidente di Nedcommunity, Alessandro Carretta, nel messaggio di apertura del secondo Forum annuale dal titolo “Governance for the future”, organizzato il 9 novembre.
“Ritengo sia il momento migliore per parlare di questi temi. Grazie al dibattito sul Ddl Capitali e al progetto di riforma del TUF. Quindi se non ora quando? Nedcommunity si pone il problema di analizzare la buona governance da quasi 20 anni, con una continua attività di ricerca e di accumulazione di conoscenza attraverso i suoi reflection group. Un impegno che si esplicita anche sul fronte della formazione come dimostrano i corsi TEB e la ricca offerta della Nedcommunity Academy che punta a trasmettere le competenze necessarie ad affrontare le sfide di oggi e di domani e a fornire le necessarie soft skills. Il nostro lavoro si avvale, inoltre, del sostengo degli oltre 700 associati e degli stretti legami con i partner, in costante aumento. Stiamo crescendo come associazione e rafforzando il legame con il territorio come dimostra la nascita del chapter del Nord-Est che sarà inaugurato il 30 novembre a Padova e che si affianca al chapter romano”.
A fargli eco Guido Ferrarini, presidente del Comitato scientifico Nedcommunity: “Sono ormai passati i tempi della shareholders value e cresce l’enfasi nei confronti degli stakeholders. Non si sta smantellando il capitalismo ma stiamo assistendo alla grande novità di mettere al centro il tema della responsabilità del fare impresa nei confronti della società e dell’ambiente”. Tutti cambiamenti che il forum ha cercato di approfondire nel corso di tre sessioni di lavoro.
Sliding doors: ripensare la corporate governance
Il primo tavolo, coordinato dal vicepresidente di Nedcommunity, Fabrizio Rindi, ha cercato di dare una risposta soprattutto a una domanda: La corporate governance è ormai diventata sustainable corporate governance o c’è di più? Nessuno può nascondersi, come ha spiegato Rindi che “le pandemie, i conflitti bellici, sono stati dei temi che ci hanno sorpreso e obbligato a confrontarci con scenari che prima non erano usuali. Oggi se ne aggiungono due: la sostenibilità e la tecnologia”.
A fronte di questi cambiamenti per Vincenzo Cariello, docente dell’Università Bocconi, e componente del Comitato scientifico Nedcommunity,“è necessario un ripensamento problematico della corporate governance nel suo complesso, iniziando in particolare dal codice, passando poi agli istituti paradigmatici come quello delone size fits all approach in corporate governance, ormai inadeguato”.
Anche secondo Marco Ventoruzzo, docente dell’Università Bocconi, e componente del Comitato scientifico Nedcommunity “ci sono forti dubbi in merito ai tentativi di finalizzare i doveri degli amministratori con le formule e i modelli che conosciamo quando si parla di sostenibilità. Tali temi sono centrali ma bisogna ricordare che le previsioni di grandissima nobiltà possono avere anche effetti collaterali”.
Stefano Preda, del Politecnico di Milano, ha ricordato la natura di “strumento organizzativo non cogente del codice. D’altro canto,il contesto in cui ha visto la luce rimane ancora valido quindi dobbiamo trovare il modo di estenderlo. Smetterei al contempo di occuparmi di aggiustamenti di dettaglio cercando di insegnare alle aziende non cosa debbano fare ma al contrario quali indicazioni seguire su come organizzarsi per affrontare le sfide del futuro”.
Per Luca Filippa, direttore generale Consob, “il dibattito accademico è naturalmente orientato sulla novità, oggi rappresentata dalla sostenibilità. Se guardo, però, all’attività di Consob e di chi opera sul mercato,noto che si parla ancora molto di problematiche standard: relazioni tra azionisti, fra azionisti e board, liste del cda, ruolo delle operazioni con parti correlate. Dal mio punto di vista, quindi, non vedo il rischio che tutto venga spostato nell’ambito dell’implementazione delle problematiche di sostenibilità all’interno della corporate governance. Ritengo sia naturale che il dibattito si concentri sui temi meno consolidati ma esiste ancora una grande quantità di gestione tradizionale in questo momento”.
Sulla necessità di “puntare su un modello adeguato alle sfide, in grado di coniugare le esigenze di profitto con i bisogni degli stakeholder” ha insistito Andrea Toselli, presidente e amministratore delegato PWC Italia mentre Alessandro Chieffi, segretario del Comitato Corporate Governance, si è soffermato sul ruolo dell’innovazione tecnologica: “Si pensi alle riunioni a distanza che erano ritenute un’eccezione. Con la pandemia abbiamo scoperto che la tecnologia ci consente di interagire in modo efficace. Il tutto con vantaggi considerevoli in termini di benessere ambientale e personale”.
Ruolo e competenze degli amministratori indipendenti: il next normal
La seconda sezione, coordinata Paola Schwizer, presidente onorario Nedcommunity, si è focalizzata sull’attività che gli indipendenti sono chiamati a svolgere, sulle crescenti responsabilità e sul profilo richiesto a questi professionisti. Schwizer ha esordito ripercorrendo l’evoluzione fin dagli esordi negli Usa, oltre 70 anni fa, come outside director. “Tale figura fa evolvere il ruolo del cda che prima era quello di advisory board a supporto dell’ad e che diventa, grazie alla crescita del grado di indipendenza, un organo di monitoring e di vigilanza sull’operato degli esecutivi. L’ingresso degli indipendenti professionalizza il cda e struttura i processi di governance. In Europa questa figura è introdotta con il primo codice di autodisciplina in Uk, nel 1992. Da allora le funzioni sono cresciute per presidiare i conflitti di interesse, garantire obiettività e prevenire la cattiva condotta: di conseguenza il peso degli indipendenti è andato aumentando proprio grazie al codice di corporate governance”.
I numeri parlano chiaro: i dati di Assonime mostrano che nel 2010 gli indipendenti erano nelle quotate poco più del 30%, nelle banche e nelle finanziarie il 32, nelle non finanziarie il 36. Nel 2022 si conta il 62% nelle imprese finanziarie, un 46% nelle non finanziarie con un media di quasi il 50%. Nelle grandi società concentrate sono il 55% e nel 71% delle quotate sono almeno la metà. Nel 41% delle piccole aziende rappresentano la maggioranza del consiglio. “Si tratta di dati – conclude Schwizer – che riflettono la necessità di aderire al codice e che testimoniano come tale figura inserita come elemento di garanzia della buona governance abbia funzionato”.
Governo societario e indipendenti sono al centro anche per le autorità di vigilanza. Andrea Pilati, vicecapo del Dipartimento Vigilanza, Banca d’Italia ha sottolineato come “esistono due capisaldi nella supervisione bancaria: la governance e il capitale. Una buona governance precede il capitale perché una cattiva lo disperde e distrugge ricchezza come confermano gli episodi di crisi registrati nella scorsa primavera. Un sistema di governo societario solido si basa su una corretta interazione delle persone e fra questi e il contesto: quindi esperienza, professionalità, dialettica, avversione ai conflitti di interesse,rappresentano requisiti essenziali per un governo dei rischi affidabile. In questa fase gli indipendenti devono essere parte attiva nel graduale processo di allineamento delle aspettative che Bankitalia ha emanato anche in merito ai fattori Esg”.
Andrea Di Segni, senior managing director, Morrow Sodali, assumendo il punto di vista degli investitori, si è soffermato sul tema della professionalità necessarie a rendere un consigliere e quindi un cda adeguati ricordando che “oggi la matrice delle competenze non funziona più: al suo posto meglio usare due strumenti, la board evaluation e l’induction e adottare un approccio reskilling: cerchiamo di costruire il board e di lavorare sul cambiamento delle competenze nel corso degli anni”.
Nicola Gavazzi, managing partner Russell Reynolds Associates Italia, ha messo in evidenza che sempre più le aziende, e non solo quotate, “cominciano a formare i consigli sulla base delle competenze e delle esperienze. Mancano, però, i comportamenti. Allora diventa importante contare su una terza fonte di informazione, le referenze. Il mercato degli amministratori sta diventando sempre più simile a quello del reclutamento del management e di conseguenza sta anche aumentando il peso dell’esperienza manageriale che aumenta quando ci si appresta a formare i nuovi cda a discapito di quella accademica e professionale”. Elisabetta Magistretti, componente del Collegio dei saggi Nedcommunity, si è infine soffermata sugli aspetti etici presentando la filosofia sottostante i principi guida redatti da Nedcommunity: “Il faro è rappresentato dall’incipit del primo dal titolo Il successo sostenibile della società che recita: Accettando la nomina, l’Associato/a si assume l’impegno di operare nell’interesse della Società senza vincolo di mandato nei confronti di chi lo ha candidato o eletto. Questa enfasi sull’assenza del vincolo di mandato è, secondo il mio parere, la base dell’indipendenza”.
Fabio Galli, direttore generale Assogestioni, si è occupato delle novità normative sottolineando che “la legislazione in merito all’indipendenza dei consiglieri dovrebbe essere frutto di una riflessione che nasce fra coloro che agiscono in azienda, fra professionisti e accademici competenti in materia” mentre Stefano Firpo, direttore generale Assonime, ritiene che “in questa fase bisogna promuovere l’autonomia statutaria. Si percepisce una volontà di introdurre nuove quote nella composizione dei board. Penso non si possa usare tale meccanismo per aumentare il numero di indipendenti: si rischia di irrigidire la governance proprio in un momento in cui il loro numero è in crescita”.
Verso la governance 3.0
Come ogni anno il Forum ha voluto guardare al futuro a breve e medio termine della governance. L’ultimo tavolo di lavoro, coordinato dal direttore di Economy, Sergio Luciano, ha svolto questo compito anche alla luce dei profondi cambiamenti tecnologici che si stanno imponendo con riferimento in particolare all’intelligenza artificiale. “Cambieranno tante cose – ha detto – perché si sta ridefinendo il modo di lavorare e la complessità dei mercati con tutta una serie di nuove domande”.
Roberto Cravero, presidente ODCEC Biella, consigliere indipendente, ha ribadito che“la governance si traduce nell’arrivare a una decisione collettiva, creando un clima di fiducia, trasparenza e responsabilità: un’azione agevolata dalla presenza di indipendenti. Una ricerca della Bocconi ha sottolineato che le società che ne hanno all’interno dei cda sono quelle che realizzano il maggior numero di acquisizioni nel tempo e che hanno sviluppato un percorso di internazionalizzazione maggiore”. Per Cravero le Pmi dovrebbero scommettere su queste figure: “Le aziende piccole e medie sono eccellenti nel saper fare ma non sempre questa eccellenza la riscontriamo in una serie di modelli organizzativi e culturali che richiedono qualche elemento di affinamento. E qui la governance, la competenza, la contaminazione che avviene anche attraverso il coinvolgimento di soggetti esterni rappresenta un elemento fondamentale soprattutto per sensibilizzare su temi che non sono espressione del capitale e della proprietà”.
Giovanna Dossena, membro del Consiglio direttivo AIFI, ha posto l’accento sulla necessità di “una governance che possa progressivamente risolvere e recepire le istanze che provengono da nuove necessità che si identificano nel sistema economico. Una buona governance deve sempre più essere capace di intelligence, di identificare i problemi e capirli, di prevedere e anticipare soluzioni a incognite che ancora non sono qui, di tenere insieme team coesi, di scommettere sulla diversity per essere capaci di leggere i complessi fatti di oggi. Non solo in termini di genere ma anche di età. La figura dell’indipendente è ancora più importante in questo scenario: è un guardiano della meta, un garante della fiducia che tiene insieme il cda”.
Anche Giacomo Galli, managing director, country leader Protiviti Italia, ha posto l’accento “sulla velocità a cui avvengono i cambiamenti che non è più quella di una volta. Anche i rischi cambiano molto più velocemente del passato. La governance si muove, però, a un ritmo differente. Cambiano anche gli stakeholder ed è necessario ascoltarli. E così un’azienda non è più legata soltanto ai propri creditori, ai propri azionisti e il profilo di rischio muta ampliandosi notevolmente. La soluzione non risiede nell’annullare i rischi, ma conoscerli, misurarli, capirli e gestirli”.
Secondo Romina Guglielmetti, partner fondatore Starclex, componente del consiglio direttivo Nedcommunity “nella governance del futuro auspico un incremento della fiducia che deve essere ben riposta. Per ottenere questo risultato i board dovrebbero perseguire l’obiettivo dell’effettività. Dobbiamo avere anche il coraggio di misurarla e contare su una forte capacità di autoanalisi dell’operato. Esercizio che viene fatto troppo spesso in maniera formale. Ciascuno deve avere consapevolezza del proprio ruolo, dell’apporto che garantisce a un cda. Se questo esercizio non si fa in maniera corretta si rischia di lasciare un’eredità impegnativa. Bisogna avere, quindi, l’onestà intellettuale per comprendere quali siano gli aspetti che devono essere corretti per evitare che la patologia delle scelte sbagliate emerga soltanto quando la scopre l’Autorità di vigilanza. Spazio quindi al risk assesment per mettersi in carreggiata non più tardi di sei/sette mesi dal suo insediamento. Se questo esercizio non dovesse andare bene bisogna avere il coraggio di cambiare qualche componente della squadra”.
Un concetto, quello dell’effettività, ribadito anche da Francesca Mariotti, associata Nedcommunity, secondo cui “la presenza degli indipendenti nei board è presidio e garanzia di una buona governance a patto che vi sia quella concretezza a cui abbiamo fatto riferimento. Deve instaurarsi quella sana dialettica di confronto che porta alla migliore decisione di governance stessa”.
Secondo Stefano Pareglio, presidente Deloitte Climate & Sustainability, Università Cattolica “il governo aziendale deve saper cogliere il contesto che si modifica all’esterno. Dalla crisi dei mutui in poi abbiamo passato molti anni cercando di mettere in rassegna i rischi sistematici degli equilibri macroeconomici generali almeno fino al 2016 quando ci siamo accorti che ce n’era un altro: il cambiamento climatico, che era stato escluso, oggi schema di riferimento della nuova CRSD. Nel frattempo, sono intervenute due grandi discontinuità, la pandemia e la guerra. E in tutto questo le aziende devono fare il proprio business. È come essere saliti su un aereo che nel tragitto dall’Italia fino all’Australia continua a ballare. Dobbiamo ripensare il modo in cui leggiamo i rischi, introducendo anche il tema delle opportunità e ragionando sul lungo termine. I piani industriali hanno infatti termini anche una durata di dieci anni. Bisogna quindi usare le analisi di scenario”.
Fabrizio Testa, amministratore delegato Borsa Italiana, ha sottolineato “che la governance rispecchia molto chi gestisce l’azienda. Nel caso di un private equity la governance è molto curata e si vede nel caso della quotazione dell’azienda. Le non quotate rispecchiano l’imprenditore: se è illuminato e capisce che dalla governance può trarre dei vantaggi, vediamo arrivare in Borsa delle belle aziende. Infine, ci sono imprese soprattutto familiari per le quali, vistala presenza di parenti vari nei cda, la gestione della governance si rivela impossibile e l’avvicinamento alla Borsa serve spesso a sciogliere questi nodi”. Quindi la proposta:” Propongo di sostituire l’aggettivo indipendente con cinque caratteristiche: competenti, autorevoli, proattivi, strategici e coraggiosi.Il coraggio di dissentire, di votare contro, di fare challenge serio a delle proposte che vanno contro il bene dell’azienda stessa”.
Il Forum è servito, come tradizione, anche a lanciare uno sguardo a quello che capita all’estero sul fronte della corporate governance. Monica Fineco, direttore generale Nedcommunity, consigliere delegato di Nevale, ha introdotto sul tema proprio Carmine Di Noia, director for Financial and Enterprise Affairs OECD che ha parlato della revisione dei principi di corporate governance G20/EOCD che fissano gli standard internazionali in materia del Factbook2023. “Fra gli obiettivi perseguiti ci sono promuovere l’accesso al capitale e supportare la sostenibilità e la resilienza delle imprese. I principi pongono l’accento su disclosure, responsabilità del board e promozione del dialogo fra azionisti e stakeholder sui temi principali, per conseguire il successo a lungo termine. Contestualmente abbiamo presentato il Factbook che integra i principi monitorando il modo in cui sono applicati-”